Mondoperaio
Associazione Riaprire i Navigli


  • 04 ottobre 1999 - SEMINARIO DELLA DIREZIONE NAZIONALE DELLO SDI - Sintesi dell’intervento di Roberto Biscardini, Perugia

    Colgo nella relazione di Boselli tre questioni politiche importanti affrontate in modo nuovo. Tutte hanno un unico comune denominatore: l’esigenza di promuovere il cambiamento della politica italiana e il cambiamento di un centrosinistra, ad egemonia diessina, ormai chiaramente inadeguato e potenzialmente perdente.
    Primo: dice sostanzialmente Boselli, la collocazione dello SDI è nella sinistra riformista (è un bel passo avanti rispetto alla vecchia locuzione “la collocazione dello SDI è in questo centrosinstra”), ma l’attuale centrosinistra non è un dogma. Secondo: oltre al tema del lavoro occorre affrontare il tema più generale dell’attuale sistema economico. L’attuale centrosinistra e il Governo D’Alema invece di promuovere un sistema finanziario e produttivo aperto alla competizione internazionale hanno ridotto l’economia del Paese al problema della spartizione tra pochi soggetti economici. Le privatizzazioni sono diventate un grande affare per pochissime imprese, sempre le stesse, contro ogni regola del mercato. Terzo: Boselli ci invita a costruire un’area liberal riformista cogliendo il dato che questa posizione politica non è presente nè nello schieramento di centrodestra nè in quello di centrosinistra. D’altra parte la necessità di dare forma politica alla cultura liberale, socialista e riformista è resa ancora più urgente dalla necessità di promuovere in forma diversa dall’attuale la riorganizzazione delle forze politiche per aree omogenee.
    Ciò è estremamente importante. Ma ci sono due cose da definire ancora meglio. Esse devono rappresentare il punto forte del prossimo Congresso.
    Primo, come affrontare le regionali del 2000 elevandole a questione nazionale. Quindi, come utilizzare le elezioni regionali per rafforzare lo SDI e favorire da tutte le Regioni, anche in modo diverso, il cambiamento della politica italiana.
    Questo ci obbliga ad affrontare la questione degli schieramenti insieme alle questioni di contenuto, ponendo noi per primi il tema di un federalismo forte sia sul piano istituzionale, politico e culturale. Per i cittadini infatti non sono importanti solo le cose che si decidono a Roma, nè la politica nazionale è solo quella che si fa a Roma. Sul piano culturale difendere radici e culture diverse è già un primo passo contro ogni forma di egemonia possibile. Ma anche per il partito non può avere valore nazionale solo ciò che si fa a Roma. Quindi i candidati, i programmi, le liste, gli schieramenti e le alleanze devono essere decisi dai livelli regionali e locali.
    Secondo: enunciare l’esigenza di un nuovo partito, anzi il rilancio del movimento socialista, richiede un salto di qualità enorme e non ci consente di uscire dal Congresso con la sola impalcatura dell’attuale partito. Noi non abbiamo bisogno di un partito che sta in piedi sull’equilibrio di tre o quattro fragili gambe, le cosiddette tre o quattro aree che hanno dato vita alla Costituente di Fiuggi. Noi abbiamo bisogno di un Congresso aperto, federalista, liberal riformista e organizzato in modo nuovo. Meglio se tutto ciò avviene in un Congresso unitario, a condizione che non sia né blindato né deciso a tavolino. Un Congresso così non potrebbe avviare in modo credibile la riorganizzazione di un partito che si pone obiettivi ambiziosi. Sarebbe l’esatto contrario di ciò di cui abbiamo bisogno e a quel punto un’unità formale a Roma potrebbe produrre divisioni di altro tipo.


















    Assemblea regionale dei Socialisti Lombardi
    Milano, 5 dicembre 1999

    Abbiamo celebrato proprio in questa sala a primavera il nostro Congresso regionale. Allora avevamo deciso di anticipare i tempi rispetto al Congresso nazionale del partito che si terrà a Fiuggi la prossima settimana.

    Ciò mi consente di tralasciare molte considerazioni e molte indicazioni di lavoro che emersero da quel congresso. I documenti preparatori, la mia relazione e le conclusioni rappresentano globalmente un punto di riferimento ancora valido e ancora attuale, che può essere ripreso solo per punti.

    Oggi la questione prioritaria mi sembra un´altra. Abbiamo il dovere di dare il nostro contributo alla costituzione del partito a livello nazionale, per la definizione della sua politica, per il perfezionamento della sua iniziativa e per l’organizzazione di una struttura di tipo federale che mi sembra oggi più possibile di ieri.
    A livello nazionale tra i segretari regionali del partito si è realizzata su questo tema in questi mesi una forte unità.
    Ciò ha consentito di introdurre nelle norme congressuali qualche novità a partire da quella che prevede l’elezione dei membri del Consiglio Nazionale direttamente dalle assemblee regionali e quella che definisce i delegati in rapporto ai voti delle elezioni europee anziché agli iscritti.

    Penso che su questo tema durante i nostri lavori saranno sottoposti all’esame dell’assemblea dei delegati alcuni documenti integrativi predisposti dalle Federazioni che saranno votati al termine della mattinata.

    La prima considerazione che voglio sottoporre all’esame dell’assemblea è il fatto che il primo congresso nazionale dei Socialisti democratici si tiene (come un po’ banalmente si usa dire in questo momento) alle soglie del nuovo millennio.
    Piaccia o non piaccia questo dato è lì a dimostrare che il socialismo non solo non è morto ma secondo noi avrà un futuro anche per gli anni a venire. Un futuro che ha bisogno di scelte coraggiose, di elaborazioni approfondite e di scelte programmatiche e politiche chiaramente conseguenti.
    Fin da quando i socialisti fecero discendere il senso della loro iniziativa dall’idea elementare che gli uomini sono stati creati uguali si diedero l’obiettivo di costruire le condizioni perché ciascun individuo avesse tutte le opportunità per costruire la propria autorealizzazione, il proprio benessere economico, potesse influenzare le scelte politiche, incidere nel sistema delle decisioni e costruirsi uguali opportunità di status sociale.
    Ciò che distingue i socialisti dagli altri è che noi ci occupiamo di rendere uguali le opportunità, gli altri al massimo si pongono il problema di organizzare i diseguali, ma il più delle volte per lasciarli tali.
    Ora più che mai si pone per i socialisti, dentro un sistema di libero mercato, il problema di come predisporre un nuovo sistema di opportunità perché ciascuno possa costruirsi una libertà di scelta dentro il massimo delle opzioni possibili, per dare una libertà uguale per tutti.

    Oggi la sinistra anche nel nostro Paese, sembra dividersi fra tre identità, quella che per essere moderna rincorre la destra e sta ciecamente dalla parte del liberismo, del mercato e delle facili privatizzazioni senza tanti principi. Ce ne è un’altra che si ispira ad un modello prettamente statalista e infine quella di ispirazione socialdemocratica che in nome dell’uguaglianza organizza appunto i cittadini per categorie di disuguali.
    Tutte e tre queste categorie non appartengono alla tradizione del riformismo socialista e del riformismo liberale. Ma senza la componente riformista che ha come obiettivo la costruzione di uguali opportunità per tutti, non ci saranno riforme efficaci e la politica socialista sarà soffocata dalle altre.
    Le riforme riformiste sono quelle che cercano di dare le gambe per camminare a chi non le ha, non sedie a rotelle, così come le riforme ispirate dal socialismo liberale costruiscono opportunità per tutti di organizzare la propria vita sapendo che nessun altro è giusto che la organizzi.
    Facciamo qualche esempio, oggi ad un anziano oltre alle più efficaci cure mediche deve essere data l’opportunità di evitare l’isolamento e questo non glielo garantisce né la sinistra statalista né quella socialdemocratica. Ad un giovane bisogna dare con ogni mezzo la più ampia formazione possibile perché questa è l’unica condizione per avere le più ampie possibilità di costruirsi un futuro migliore di quello conosciuto dai propri padri. Ma una formazione di questo genere non può che nascere da una riforma riformista che va al fondo delle cose oltre il liberismo, lo statalismo e lo stesso modello socialdemocratico.

    Questo è il punto, costruire un partito di socialisti per fare quelle riforme che consentano di dare a tutti le opportunità di libertà come parte essenziale della lotta alle esclusioni sociali e culturali. Questo mi sembra nella modernità il modo migliore per esprimere il nostro Dna tradizionale.

    Data la particolarità di questo incontro mi limiterò quindi ad un contributo sintetico intorno a tre questioni principali.



    Primo: non c’è alcuna prospettiva forte per i socialisti senza l’identificazione di valori riconoscibili e identificati

    Penso che la nostra iniziativa si debba ispirare principalmente ad una prospettiva fatta di valori; valori per un nuovo umanesimo nel quale programmi di sviluppo, modernizzazione e politica sono al servizio degli uomini.
    Del primo quello più forte, ho già detto, esso è credere nella capacità degli uomini di costruire il proprio futuro. Credere pertanto nella capacità degli uomini di avere influenza politica. Credere quindi nel valore della politica come impegno nobile e civile e come miglior antidoto delle peggiori forme di degrado delle società e delle democrazie.
    Credere nel valore delle democrazia dato troppo per scontato e troppo spesso trascurato e perennemente a rischio.
    Credere nel valore delle libertà come capacità d´espressione, di realizzazione, di movimento, di crescita, di benessere e di emancipazione. La libertà di porsi degli obiettivi e di ricercare i modi per perseguirli.
    Crediamo nel valore della responsabilità.
    Crediamo nel valore del cambiamento.
    E intendiamo combattere il pessimismo che è la negazione delle riforme e dello sviluppo possibile.

    Secondo: c’è nel Paese irrisolta la questione socialista.

    In Italia come in Europa è aperta ed irrisolta la questione socialista.
    Ma se a livello internazionale il dibattito ruota intorno a quali risposte i partiti socialisti e socialdemocratici europei sapranno affrontare i problemi del nuovo millennio, da noi la questione socialista è ancora aperta intorno al dramma che hanno conosciuto i socialisti italiani dal 1992 in poi, con la distruzione del vecchio PSI.

    Bisogna prendere atto con chiarezza che questa è una questione aperta e non è una questione che riguarda solo i socialisti.

    E’ sempre più chiaro, essa coinvolge l’intera vita politica del Paese perché in gioco c’è o meno la possibilità per l’intera sinistra ma anche per l’insieme delle forze democratiche di governare le trasformazioni con le necessarie riforme.
    Senza una forza socialista e senza la possibilità di ritornare ai socialisti quell’onore che è stato tolto, una politica di riforme con questo bipolarismo sembra ormai impossibile.
    Per questo penso che non sia più possibile nemmeno per lo SDI continuare ad invocare una politica che guarda al futuro quando l’opinione pubblica ed il Paese ci identifica come la continuità di un soggetto politico che ha le sue radici nel passato, ci chiede con questo passato di fare i conti fino in fondo, e sa benissimo che nel nostro passato c’è il problema Craxi, problema che non può essere accantonato né tantomeno rimosso.
    Di questo bisogna prenderne atto ed in tempi abbastanza brevi, per recuperare un rapporto chiaro e sincero con l’opinione pubblica, prima che tutta questa vicenda, come epilogo di un perfetto disegno politico che voleva la morte del PSI, sia risolta del tutto ingiustamente da una riabilitazione opportunistica di Berlusconi o di D’Alema.

    In queste ultime settimane si è riaperto per diverse ragioni il caso Craxi e finalmente, a detta quasi di tutti, questo caso non è più solo un caso personale, umanitario o giudiziario, ma è un caso politico che riguarda la storia politica del socialismo italiano.
    Un editorialista del Corriere, non certo socialista, ha scritto nei giorni scorsi: “il caso Craxi è prima di tutto questo, un difficile problema storico, politico e morale che come tale richiede difficili risposte storiche, politiche e morali. Non stiamo parlando di un Alì Baba gravemente malato. Stiamo parlando di un uomo politico e di un Governo (aggiungo io e di un partito) a lungo considerato di prima grandezza in Italia e nel mondo. Pluricondannato, certo. Ma tuttora così convinto di essere stato vittima di un complotto e di meritare la restituzione del proprio onore politico da non pensare neanche per un attimo non solo di poter andare in galera ma anche di rientrare nel proprio paese da vinto che chiede pietà”.
    Non c’è commentatore politico, soprattutto internazionale che non guarda alla vicenda di Craxi ad Hamamett come la fine di una fase politica che si è caratterizzata nella lotta di potere che ha consentito l’eliminazione pressochè totale di una classe politica e la sostituzione con un’altra.

    Non per spirito di vendetta, ma per amore di verità, per riconquistarci la nostra serenità politica, questa storia che abbiamo vissuto sulla nostra pelle in questi anni, va affrontata per quella che è.
    Dobbiamo essere chiari: a tutte le altre forze politiche e all’opinione pubblica dobbiamo dire con estrema franchezza che sono certamente di sollievo ed importanti le parole di chi tenta oggi di riabilitare la storia del PSI dopo anni di attacchi e di ostracismo, ma il problema di fondo è un altro. Esso riguarda la possibilità di risarcire almeno sul piano morale le umiliazioni che tutti i socialisti, senza distinzioni, hanno subito nei rapporti umani e sociali, e nello stesso tempo risarcire almeno sul piano morale i danni che milioni di socialisti hanno subito nei luoghi di lavoro anche sul piano materiale.
    Occorre prendere atto che nei confronti dei socialisti italiani c’è stato un accanimento ed una criminalizzazione che non ha precedenti nella storia democratica di questo Paese, che noi non auguriamo a nessuno, perché siamo una forza civile che vuole vivere in un Paese civile.
    Da anni dalla Lombardia noi socialisti abbiamo invocato un´operazione verità per ridare alla storia del socialismo e a tutti i suoi militanti la dignità che essi meritano. Una operazione verità contro accanimenti e menzogne perpetrate per anni e in parte non ancora terminate che può avvenite solo quando il Parlamento avrà nominato una Commissione d’inchiesta sui finanziamenti illegali della politica negli ultimi 20 anni e quando si sarà ristabilito un equilibrio di poteri tra quello legislativo, esecutivo e giudiziario.
    Un’operazione verità contro un uso politico della giustizia per ristabilire un corso giusto e virtuoso della nostra magistratura.
    Siamo ancora lontanissimi da questo traguardo ma nell’opinione pubblica si è allargata la consapevolezza che la giustizia non funziona e che in questi anni i poteri legislativi ed esecutivi sono stati condizionati da quello giudiziario.

    Nelle settimane scorse si è tenuto a Milano in importante convegno internazionale sulla corruzione, un fenomeno come è stato fatto notare caratterizzato da tre modalità di comportamento: la corruzione nell’amministrazione pubblica, la corruzione negli affari e la corruzione cosiddetta “top level” ossia dei centri di potere finanziari, politici ed amministrativi.
    Anche da quel convegno è emerso con chiarezza che la lotta alla corruzione passa in primo luogo attraverso la fiducia del cittadino nei confronto della giustizia ed è stato più volte ripetuto che se la giustizia non funziona e quindi non è giusta non è possibile alcuna vera lotta alla corruzione da parte della magistratura.
    Inoltre se da un lato è vero che senza un sistema giudiziario veramente indipendente non può altrettanto esserci una lotta efficace alla corruzione, si è rilevato dall’altro che se è il sistema giudiziario ad essere corrotto per i cittadini non c’è nessuna possibilità di difendersi dalla corruzione.
    Se a distanza di quasi dieci anni da tangentopoli si sostiene che la corruzione nelle tre forme dette prima è ancora forte, il nodo sta nel fatto che il nostro sistema giudiziario non è per nulla estraneo alla corruzione esistente nel Paese.
    Per questo hanno fatto bene i nostri parlamentari a riprendere l’argomento e a chiedere l’istituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta sullo stato dell’amministrazione della giustizia in Italia.

    Sul piano politico la riabilitazione dei socialisti avverrà invece quando i partiti di destra e di sinistra che hanno utilizzato tangentopoli per candidarsi alla guida del paese, cavalcando riforme elettorali ed istituzionali, sapranno rivalutare l’esperienza positiva dei governi di centrosinistra, compreso quello presieduto da Bettino Craxi, prima che siano morti tutti i maggiori protagonisti di allora e abbiamo il coraggio di dire che il distacco dei cittadini dalla politica, la loro disaffezione al voto non è causata dalla malvagità della prima repubblica ma dalla pochezza, debolezza e delusione della seconda.

    Terzo: i socialisti aprono la loro campagna elettorale con un progetto autonomo per la Lombardia.

    Si, noi apriamo oggi la campagna elettorale dei socialisti in previsione delle elezioni amministrative e regionali del prossimo anno e ci apprestiamo ad affrontarle con tutta la determinazione necessaria con l’obiettivo preciso di eleggere sia in Regione che nei Comuni un numero di consiglieri maggiore rispetto a quello uscente.

    Anche a livello locale come a livello nazionale si avverte sempre di più l’inadeguatezza del modello bipolare.
    Cresce nell’opinione pubblica l’insofferenza per un bipolarismo che non produce grandi risultati.
    L’opinione pubblica percepisce l’esigenza che occorre qualcosa di nuovo e di più credibile.
    Buona parte dell’elettorato a noi più vicino non si riconosce e giudica insufficiente la proposta politica e tanto più gli obiettivi del centrodestra, si dichiara alternativo a quella cultura, ma percepisce anche l’esigenza che occorre un’alternativa all’attuale centrosinistra, occorre una alternativa ad un centrosinistra che sembra peraltro nutrire a partire da D’Alema pericolosi istinti di autodistruzione. Questo vale soprattutto al nord dove il centrosinistra è debole di suo e dove la politica del centrosinistra nazionale non lo aiuta a crescere.
    Questa insofferenza pesa inoltre di più sui partiti minori e in particolare su di noi che in questi anni abbiamo voluto confermare la nostra posizione nell’ambito del centrosinistra per non consentire che la nostra storia venisse deformata e derubata da chi non ha mai creduto nei valori del socialismo e del riformismo.

    Nel 1995 dando vita alla lista del Patto de I Democratici, in uno dei momenti più difficili della storia dei socialisti italiani, siamo riusciti ad eleggere in Regione Lombardia due consiglieri, a costituire un gruppo politico e ciò è stato essenziale per garantire una visibilità politica e una organizzazione al partito.
    A cinque anni di distanza possiamo contare sul consolidamento del partito, su una maggiore presenza, ci viene riconosciuto un ruolo ed una prospettiva che allora non ci erano riconosciuti, ma nello stesso tempo dobbiamo ammettere che nel nord Italia, in modo del tutto proporzionale alla debolezza della coalizione di centrosinistra, nelle regioni dove è più forte il Polo della Libertà, lo sforzo per recuperare al nostro partito un consenso elettorale significativo non può essere allentato.

    Per quanto riguarda la Regione Lombardia ho il dovere di fare il punto e di dare qualche informazione. L’esecutivo regionale del partito su mandato del direttivo ha accolto favorevolmente la candidatura di Mino Martinazzoli come una tra le candidature possibili più autorevoli del centrosinistra.
    Ma a Martinazzoli ed ai partiti che si apprestano a sostenerlo abbiamo posto alcune condizioni, in qualche modo pregiudiziali, frutto di un ragionamento semplice.
    Se la cosiddetta coalizione di centrosinistra in Lombardia non si distacca in modo netto dalla politica, dai programmi e dal sistema delle alleanze che caratterizza il centrosinistra nazionale è destinato a perdere sonoramente.
    Occorre staccarsi drasticamente dall’Ulivo, dal nuovo Ulivo, e da quella tendenza a ridurre ad una sola entità (che poi sarebbe quella di ispirazione cattocomunista) l’intera coalizione.
    Occorre rendersi conto che in Lombardia una coalizione di centrosinistra può vincere contro il centrodestra solo se ritrova i valori delle esperienze autonomiste, regionaliste e federaliste e se sa rappresentare la cultura laica e liberale che tanto ha pesato nella nostra regione e a Milano in particolare.
    Ma c’è un problema in più, noi dobbiamo chiedere a Martinazzoli di farsi carico seriamente della questione socialista che è questione di nomi, di idee e di liste. Essa pesa come un macigno sul dato elettorale e può essere decisiva soprattutto a Milano per rendere vincente uno schieramento o un altro.
    In altre parole noi non possiamo più stare in una coalizione in condizioni troppo marginali, né tantomeno possiamo accettare più di essere tollerati in una coalizione peraltro più perdente che vincente.
    Ma di più, se le coalizioni sono qualcosa di imposto autoritariamente dall’alto non possono interessare granchè, diversamente si può partecipare a pieno titolo se sono lo strumento attraverso il quale ognuno liberamente decide di concorrere con la propria identità ad una identità che è anche collettiva.
    Se il centrosinistra non fa propria questa precondizione minima e pretende di ridurre tutto ad uno, si chiami questo Ulivo o partito dei democratici al quale bisognerebbe riconoscere una sovranità, perderà voti e potrebbe perdere anche i socialisti.

    Solo dopo aver chiarito bene la caratteristica politica di questa alleanza, la struttura del centro sinistra e dopo aver verificato con Martinazzoli e gli altri partiti il nodo del nostro ruolo e della nostra visibilità, sarà possibile sciogliere le riserve e parlare di lista unica o di liste separate e verificheremo insieme negli organi del partito se sarà opportuno la presentazione della lista dello SDI, non escludendo una lista che riunisca socialisti, laici e liberali, una lista del Trifoglio.
    Sul piano programmatico sottoporremo al confronto degli altri partiti un documento in cinque punti, che intendiamo proporre come piattaforma dei socialisti e sul quale imposteremo la nostra campagna elettorale.

    Nel Congresso di primavera abbiamo lanciato la proposta di un “Progetto riformista della Lombardia” come quadro di riferimento per le elezioni regionali del 2000.
    E’ un progetto che si può articolare in 5 punti sintetizzabili nella democrazia delle istituzioni, nel federalismo, riformismo, garantismo, laicismo.

    1. L’elezione diretta dei presidenti delle Regioni introdotta con la nuova legge di riforma costituzionale e il potere concesso ai presidenti di nominare assessori anche al di fuori degli eletti in Consiglio regionale esalta il ruolo degli esecutivi sul modello dei Comuni e delle Province ma rischia di penalizzare in modo preoccupante il ruolo legislativo delle Regioni.
    Il nuovo parlamento regionale che sarà eletto nella primavera del 2000 ha di fronte a se un grande compito, affiancare la politica regionale ad un’idea istituzionale precisa da definire attraverso un proprio statuto.
    Noi siamo contrari alla riduzione delle Regioni a rango di organi esecutivi, proponiamo che sia valorizzata la funzione legislativa e sia riequilibrato il potere tra la Giunta e il Consiglio, in conformità ad un modello federalista che consenta alle Regioni di disporre di poteri tra loro distinti ed in equilibrio.
    La recente modifica costituzionale prevede inoltre che durante la prossima legislatura il Consiglio Regionale approvi il proprio sistema elettorale che dovrebbe entrare in vigore con le elezioni regionali del 2005. Noi crediamo che il sistema elettorale a cui riferirsi nello spirito di un moderno stato federale sia quello tedesco e cioè proporzionale con soglia di sbarramento.

    2. Insieme alla definizione della struttura del nuovo stato regionale, contrariamente a quanto avvenuto in questa legislatura, deve essere rafforzato il potere dei Comuni e deve essere rafforzato il potere di coordinamento tra istituzioni diverse perché noi crediamo che sia federalismo quel modello istituzionale che consente ad ogni istituzione di svolgere il proprio ruolo politico in modo paritario per quello che gli compete e comunque non subalterno rispetto ad altre istituzioni.

    3. In questi anni abbiamo costruito noi socialisti un’idea politica della Lombardia che abbiamo fatto valere in ogni sede. Un’idea politica forte e originale all’altezza della realtà territoriale economica troppo spesso sottovalutata dal Governo regionale. E’ l’idea di una “Lombardia unica area urbana policentrica” che ha bisogno di una politica unitaria sul piano sociale e infrastrutturale per recuperare ritardi che negli ultimi cinque anni sono andati ad aggravarsi. Senza una politica della Regione a dimensione nazionale in piena autonomia rispetto alle politiche nazionali la Lombardia non riuscirà a stare nella competizione con il resto del mondo.
    Il sud è diventato quello che è nel nostro Paese perché non ci fu allora una politica capace di valorizzare le sue risorse e la peggiore piaga del sud fu l’emigrazione dei giovani e l’impossibilità per i cervelli migliori di dare un contributo allo sviluppo della propria terra.
    Dobbiamo avere il coraggio di guardare in faccia la realtà, quello che decenni avvenne al sud sta oggi accadendo in maniera molto simile per i nostri migliori giovani che se ne vanno via e se la Lombardia continua a perdere le proprie intelligenze perché il mercato del lavoro è troppo rigido e bloccato e le opportunità migliori sono all’estero, non c’è più molto da sperare.
    Nel mondo ormai il fattore vincente è l’intelligenza, noi lombardi potevamo contare sulle nostre università e con la nostra ricerca e con la nostra imprenditorialità avevamo costruito il miracolo economico della Lombardia. Noi socialisti chiediamo alla politica di aprire gli occhi per superare uno stato pericoloso, rinunciatario e di assuefazione.

    4. Una politica riformista quindi anche in Lombardia è una politica che ha degli obiettivi, delle battaglie da compiere e dei conflitti da riaprire. Consociativismi, patti fra le parti sociali, politiche di concertazione e tutto questo armamentario della pace sociale fra destra e sinistra e fra interessi diversi non può produrre alcuna riforma significativa.
    La Lombardia che è sempre stata il motore dell’Italia moderna può esserlo ancora se la classe dirigente non se ne va, non si interessa d’altro, non si chiude nella difesa di piccoli interessi e se riemerge una nuova classe politica, una leadership che oggi non c’è da nessuna parte, una leadership plurale, una leadership politica che sappia assumersi le sue responsabilità e abbai il coraggio di fare le proprie battaglie.

    Governare in Lombardia, come abbiamo fatto e detto più volte in questi anni, vuol dire partire anche da qui per fare battaglie di dimensioni nazionali. Per questo chiediamo inoltre che la prossima Giunta si impegni per la riforma dello stato sociale (secondo un modello che non è né quello di Formigoni né quello della Bindi), si impegni sul tema del garantismo che vuol dire maggiore sicurezza e giustizia per tutti, si impegni su una politica laicista nella società.
    Sui temi della famiglia e su quelli della scuola non abbiamo alcuna intenzione di tornare indietro e non abbiamo intenzione di scendere a compromessi con nessuno.

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